mercoledì 28 febbraio 2018

5 anni fa...



(LB) Il 28 febbraio del 2013, cinque anni fa, fu l'ultimo giorno del pontificato di Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, che era cominciato il 19 aprile 2005, 17 giorni dopo la morte di s. Giovanni Paolo II. Allora, il cardinale Ratzinger aveva compiuto, due giorni prima, 78 anni. In quel momento il nuovo Papa aveva 54 anni di sacerdozio. Lui stesso, subito dopo la rinuncia al papato, l'11 febbraio 2005, aveva stabilito che il suo ultimo giorno come Vescovo di Roma e Successore di Pietro nonché Vicario di Cristo sarebbe stato il 28 febbraio. In concreto, stabilì che avrebbe smesso di essere il Papa alle ore 20, momento in cui la chiusura delle porte del Palazzo apostolico di Castel Gandolfo indicò materialmente che era incominciata la Sede vacante, che come è ben noto si prolungò fino al pomeriggio del 13 marzo, giorno dell'elezione di Papa Francesco.
Tra l'altro Papa Francesco proprio oggi celebra il ventesimo anniversario del giorno in cui divenne Arcivescovo di Buenos Aires al momento del decesso del cardinale Antonio Quarracino avvenuta appunto il 28 febbraio  1998.
Una foto speciale. La foto qui riportata è una inquadratura molto speciale perhé si tratta dell'ultima di Joseh Ratzinger ancora Vescovo di Roma. Da qualche secondo aveva finito di salutare revemente i fedeli radunati sotto il balcone del palazzo apostolico di Gastelgandolfo e stava rientrando nella stanza.

Ecco il Saluto:
Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo. Grazie, vi imparto adesso con tutto il cuore la mia Benedizione.
Ci benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Grazie, buona notte! Grazie a voi tutti!


La Chiesa è una realtà vivente
Nella mattinata del 28 febbraio, nella Sala Clementina, rivolgendosi ai cardinali Papa Benedetto aveva detto: "Vorrei lasciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi - possiamo dire - la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardini: La Chiesa “non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi… Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”." Poi, il Papa si congedò visibilmente emozionato dicendo ai presenti: "Prima di salutarvi personalmente, desidero dirvi che continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni, affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello che è voluto da Lui. E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza. Per questo, con affetto e riconoscenza, vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica."

Il Sismografo

L'Udienza generale di Papa Francesco. "Nel pane e nel vino presentiamo l’offerta della nostra vita...



L'Udienza generale di Papa Francesco. "Nel pane e nel vino gli presentiamo l’offerta della nostra vita, affinché sia trasformata dallo Spirito Santo nel sacrificio di Cristo e diventi con Lui una sola offerta spirituale gradita al Padre"


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Questa udienza si farà in due posti diversi, noi qui in aula Paolo VI e un altro gruppo in Basilica, perché eravate tanti e non si poteva fare in piazza, perché sembra che faccia freddo. Il gruppo che è in Basilica segue dal maxischermo quello che noio facciao qui, salutiamolo  con un appalauso – Alla Liturgia della Parola su cui mi sono soffermato nelle scorse catechesi – segue l’altra parte costitutiva della Messa, che è la Liturgia eucaristica. In essa, attraverso i santi segni, la Chiesa rende continuamente presente il Sacrificio della nuova alleanza sigillata da Gesù sull’altare della Croce, è stato il primo altare quello della Croce (cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 47). Il sacerdote, che nella Messa rappresenta Cristo, compie ciò che il Signore stesso fece e affidò ai discepoli nell’Ultima Cena: prese il pane e il calice, rese grazie, li diede ai discepoli, dicendo: «Prendete, mangiate … bevete: questo è il mio corpo … questo è il calice del mio sangue. Fate questo in memoria di me».


Obbediente al comando di Gesù, la Chiesa ha disposto la Liturgia eucaristica in momenti che corrispondono alle parole e ai gesti compiuti da Lui la vigilia della sua Passione. Così, nella preparazione dei doni sono portati all’altare il pane e il vino, cioè gli elementi che Cristo prese nelle sue mani. Nella Preghiera eucaristica rendiamo grazie a Dio per l’opera della redenzione e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo. Seguono la frazione del Pane e la Comunione, mediante la quale riviviamo l’esperienza degli Apostoli che ricevettero i doni eucaristici dalle mani di Cristo stesso (cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 72).
Al primo gesto di Gesù: «prese il pane e il calice del vino», corrisponde quindi la preparazione dei doni è la prima parte della preparazione eucaristica. E’ bene che siano i fedeli a presentare al sacerdote il pane e il vino, perché essi significano l’offerta spirituale della Chiesa lì raccolta per l’Eucaristia è bene che siano proprio i fedeli a portare i doni. Sebbene oggi «i fedeli non portino più, come un tempo, il loro proprio pane e vino destinati alla Liturgia, tuttavia il rito della presentazione di questi doni conserva il suo valore e significato spirituale» (ibid., 73). E al riguardo è significativo che, nell’ordinare un nuovo presbitero, il Vescovo, quando gli consegna il pane e il vino, dice: «Ricevi le offerte del popolo santo per il sacrificio eucaristico» è il popolo di Dio che porta l'fferta per la Messa (Pontificale Romano - Ordinazione dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi). Dunque, nei segni del pane e del vino il popolo fedele pone la propria offerta nelle mani del sacerdote, il quale la depone sull’altare o mensa del Signore, «che è il centro di tutta la Liturgia eucaristica» (OGMR, 73). Il centro della Messa è l'altare e l'altare è Cristo. Nel «frutto della terra e del lavoro dell’uomo», viene pertanto offerto l’impegno dei fedeli a fare di sé stessi, obbedienti alla divina Parola, un «sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente», «per il bene di tutta la sua santa Chiesa». Così «la vita dei fedeli, la loro sofferenza, la loro preghiera, il loro lavoro, sono uniti a quelli di Cristo e alla sua offerta totale, e in questo modo acquistano un valore nuovo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1368).
Certo, è poca cosa la nostra offerta, ma Cristo ha bisogno di questo poco,  – come avvenne nella moltiplicazione dei pani (cfr Mc 6,38-44) – per trasformarlo nel Dono eucaristico che tutti alimenta e affratella nel suo Corpo che è la Chiesa ci chiede poco il Signore e ci da tanto, buona volontà, cuore aperto, di essere migliori e nella Eucarestia ci chiede queste offerte simboliche che diventeranno corpo e sangue. Un’immagine di questo movimento oblativo di preghiera è rappresentata dall’incenso che, consumato nel fuoco, libera un fumo profumato che sale verso l’alto: incensare le offerte, la croce, l’altare, il sacerdote e il popolo sacerdotale manifesta visibilmente il vincolo offertoriale che unisce tutte queste realtà al sacrificio di Cristo (cfr OGMR, 75). Ricordiamo che il priomo altare è la Croce.
E’ quanto esprime anche l’orazione sulle offerte. In essa il sacerdote chiede a Dio di accettare i doni che la Chiesa gli offre, invocando il frutto del mirabile scambio tra la nostra povertà e la sua ricchezza. Nel pane e nel vino gli presentiamo l’offerta della nostra vita, affinché sia trasformata dallo Spirito Santo nel sacrificio di Cristo e diventi con Lui una sola offerta spirituale gradita al Padre. Mentre si conclude così la preparazione dei doni, ci si dispone alla Preghiera eucaristica (cfr ibid., 77).
La spiritualità del dono di sé, che questo momento della Messa ci insegna, possa illuminare le nostre giornate, le relazioni con gli altri, le cose che facciamo, le sofferenze che incontriamo, aiutandoci a costruire la città terrena alla luce del Vangelo.
Grazie!


*

Saluto del Santo Padre Francesco nella Basilica di San Pietro ai fedeli presenti per l’Udienza generale
Sala stampa della Santa Sede
Cari fratelli e sorelle!
Sono lieto di accogliervi in questa Basilica e di rivolgere a ciascuno il mio cordiale benvenuto.
Il cammino quaresimale che stiamo percorrendo sia occasione favorevole di un deciso sforzo di conversione e di rinnovamento spirituale per un risveglio alla fede autentica, per un recupero salutare del rapporto con Dio e per un impegno evangelico più generoso. Nella consapevolezza che l'amore è stile di vita che contraddistingue il credente, non stancatevi di essere ovunque testimoni di carità.
Accanto a noi è Maria, la Donna della speranza che, con la sua tenerezza materna ci sostiene e ci guida verso la Pasqua. Con il suo aiuto potremo celebrare, interiormente rinnovati, il grande mistero pasquale, evento centrale della salvezza e rivelazione suprema dell’amore misericordioso di Dio.
Concludiamo questo nostro incontro recitando la preghiera del Padre Nostro.
(Segue la Benedizione)
Il Signore Sia con voi. E con il tuo spirito.
Sia Benedetto il nome del Signore. Ora e sempre.
Il nostro aiuto è nel nome del Signore. Egli ha fatto cielo e terra.
Vi benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen.

martedì 27 febbraio 2018

Come un padre col figlio




«Un caffè» con il Signore e poi, con «la ricevuta del perdono», avanti «nel cammino di conversione». Con la consapevolezza che il Signore ci chiama in tutti modi a incontrarlo, Papa Francesco ha indicato — nella messa celebrata martedì 27 febbraio a santa Marta — l’immagine del padre che ha a che fare con «le ragazzate del figlio adolescente» ma gli dà «fiducia» perché non le ripeta.
«Il Signore non si stanca di chiamarci alla conversione, a cambiare vita» ha subito ricordato il Papa. E «tutti dobbiamo cambiare vita: tutti sempre abbiamo bisogno di convertirci, di fare un passo avanti nella strada dell’incontro con Gesù». La Quaresima «ci aiuta a questo, alla conversione, a cambiare vita». Ma «questa — ha spiegato Francesco — è una grazia che chiediamo al Signore perché, come abbiamo pregato nella orazione colletta, la Chiesa non può sostenersi senza il Signore: è lui che ci dà la grazia».
«Il Signore — ha fatto presente il Pontefice — ci rimprovera tante volte, in diversi modi, ci avverte, ci spaventa, ci fa vedere il peccato come è tanto brutto». Ma «il Signore cambia il modo di farci vedere la malizia del peccato e con questo ci aiuta alla conversione».
Proprio nella liturgia del giorno, ha rilanciato il Papa riferendosi al brano del profeta Isaia (1,10.16-20), «abbiamo sentito nella prima lettura una chiamata alla conversione, ma è una chiamata in uno stile speciale: non minaccia, lì, il Signore», ma «chiama con dolcezza, dando fiducia».
«Dopo aver detto le cose che si dovevano fare e non si dovevano fare — ha ricordato Francesco — il Signore dice: “Vieni, su; venite e discutiamo, Parliamo un po’”». Il Signore, dunque, «non ci spaventa, è come il papà del figlio adolescente che ha fatto una ragazzata e deve rimproverarlo e sa che se va col bastone la cosa non andrà bene, deve entrare con la fiducia».
Dunque, ha proseguito il Pontefice, «il Signore in questo brano ci chiama così: “Su, venite, prendiamo un caffè insieme, parliamo, discutiamo, non avere paura, non voglio bastonarti”». E «siccome sa che il figlio pensa. “ma io ho fatto delle cose...”, subito» aggiunge: «Anche se i tuoi peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana». Insomma, «il Signore dà fiducia, come il papà dà fiducia al figlio adolescente».
Francesco ha fatto notare che «tante volte il Signore ci chiama così». E ha fatto riferimento a un episodio evangelico. quando Gesù, in pratica, dice: «Ehi tu, Zaccheo, scendi! Scendi, vieni con me, andiamo a pranzo insieme!». E in quella occasione, ha affermato il Papa, «Zaccheo chiama tutta la cordata dei suoi amici — che non erano propriamente dell’Azione cattolica! — ma chiama tutti e ascoltano il Signore». Proprio «con quel gesto di fiducia il Signore li avvicina al perdono e cambia il cuore».
Lo stesso sistema Gesù ha messo in atto anche con Matteo, dicendogli: «Devo andare a casa tua». Ecco che «il Signore sempre cerca il modo»; invece «altre volte avverte: “no, maledetti, voi che non avete fatto questo, questo...”». È un avvertimento «forte», ha spiegato il Pontefice, «ma anche nella nostra vita il Signore prende questo atteggiamento di papà col figlio adolescente, cercando di fargli vedere con la persuasione che deve fare un passo adelante, avanti: fare un passo avanti nel cammino della conversione».
«Ringraziamo il Signore per la sua bontà» ha rilanciato Francesco, spiegando che «lui non vuole bastonarci e condannarci: ha dato la sua vita per noi e questa è la sua bontà e sempre cerca il modo di arrivare al cuore». Per questa ragione, ha affermato, «quando noi sacerdoti, nel posto del Signore, dobbiamo sentire le conversioni, anche noi dobbiamo avere questo atteggiamento di bontà, come dice il Signore: “Venite discutiamo, non c’è problema, il perdono c’è”». E «non la minaccia, dall’inizio».

 In proposito il Papa ha confidato di essere «rimasto commosso alcuni giorni fa quando un cardinale che confessa parecchie volte la settimana, nel pomeriggio qui a Santo Spirito in Sassia — due ore di confessione fa, ogni giorno — mi ha raccontato come è il suo atteggiamento: “Quando io vedo una persona che fa fatica a dire qualcosa, che si vede che è grossa grossa, e io capisco subito quale è, dico: ho capito, ho capito, sta bene, altra cosa?”». E questo atteggiamento, ha fatto presente Francesco, «apre il cuore e l’altra persona si sente in pace e va avanti e continua il dialogo».
Ma questo è anche ciò che fa «il Signore con noi: “Venite, discutiamo parliamo; prendi la ricevuta del perdono, il perdono c’è; adesso parliamo un po’ perché tu non faccia un’altra ragazzata dopo”».
«A me aiuta vedere questo atteggiamento del Signore: il papà col figlio che si crede grande, che si crede cresciuto e ancora è a metà strada», ha aggiunto il Pontefice. E «il Signore sa che tutti noi siamo a metà strada e tante volte abbiamo bisogno di questo, di sentire questa parola: “Vieni, non spaventarti, vieni, il perdono c’è”». Questo, ha concluso, «ci incoraggia: andare dal Signore col cuore aperto, è il padre che ci aspetta».

L'Osservatore Romano

Tutti gli uomini di Francesco.

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I cardinali di Bergoglio. Primo papa non europeo da quasi tredici secoli, Francesco ha creato finora 49 cardinali elettori: tra loro, un terzo sono europei (e cioè 16, tra cui 7 italiani). Così, dopo la quarta creazione cardinalizia di Bergoglio, il 27 febbraio 2018 gli elettori sono 118. Tra questi i 68 non europei sono ormai in maggioranza (già registrata per brevi periodi nell’ultimo quarantennio, ma ora più accentuata e destinata ad aumentare) a fronte dei 50 europei (tra loro ben 21 sono gli italiani). Nel complesso si presenta un quadro molto variegato, che rispecchia ed esprime davvero l’universalità della Chiesa, come ha detto il pontefice un settantennio dopo il primo concistoro di Pio XII che ne avviò l’internazionalizzazione.

Una comunità realmente cattolica, dunque, che il 24 dicembre 1945, annunciando la creazione cardinalizia, l’ultimo papa romano definisce «soprannazionale»: una madre, che «non appartiene né può appartenere esclusivamente a questo o a quel popolo» e che «non è né può essere straniera in alcun luogo». Così, è un singolare panorama del cattolicesimo contemporaneo quello che emerge dal libro Tutti gli uomini di Francesco. I nuovi cardinali si raccontano (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2018, pagine 384, euro 18) scritto dal vaticanista Fabio Marchese Ragona. Presentato a Roma il 28 febbraio da Cesara Buonamici, vicedirettore del Tg5, dall’arcivescovo di Tegucigalpa (di cui pubblichiamo parte della prefazione) e dal prefetto della Segreteria per la comunicazione, monsignor Dario Edoardo Viganò, il volume ha il suo punto di forza nelle interviste alla maggioranza delle “creature” — questo era l’antico termine curiale che designava i cardinali — del papa. E a queste l’autore ha aggiunto il racconto di «un momento della vita quotidiana» degli intervistati o il ricordo personale ed emozionato dell’annuncio della nomina, che spesso li ha colti di sorpresa. (g.m.v.)
Un servizio che ha i confini del mondo
(Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga) Quando nel febbraio del 2001 san Giovanni Paolo II impose la berretta cardinalizia a quarantaquattro nuovi cardinali, non sapevamo ancora che tra di noi (io ero uno di quei quarantaquattro, ed ero il primo cardinale creato nel mio paese, l’Honduras) fosse presente anche il futuro Papa, l’arcivescovo di Buenos Aires, il gesuita monsignor Jorge Mario Bergoglio. Arrivava dall’Argentina, sorridente e all’apparenza anche un po’ timido, e stava lì, in piazza San Pietro insieme a noi, emozionato, in attesa di esser chiamato dal Santo Padre per ricevere la berretta e il titolo cardinalizio.
In quell’occasione Papa Wojtyła tenne un’omelia memorabile, nella quale ci spiegava quale sarebbe stata la nostra missione, appena rientrati nei nostri paesi d’origine. «Il vostro servizio alla Chiesa — disse il Papa polacco — si esprime poi nel prestare al successore di Pietro la vostra assistenza e collaborazione per alleviarne la fatica di un ministero che si estende fino ai confini della terra. Insieme con lui dovete essere difensori strenui della verità e custodi del patrimonio di fede e di costumi che ha la sua origine nel Vangelo. Il Papa conta sul vostro aiuto a servizio della comunità cristiana, che si introduce con fiducia nel terzo millennio». Ecco, quelle parole di san Giovanni Paolo II sono rimaste impresse nei nostri cuori e anche in quello del nostro Papa Francesco, che nei suoi anni da arcivescovo di Buenos Aires ieri e da Papa oggi sta mettendo in pratica quanto gli era stato chiesto nel momento in cui diventava prima sacerdote, poi arcivescovo e cardinale.
A distanza di tanti anni, le congregazioni generali che hanno preceduto il conclave del 2013 sono state vissute da noi cardinali, chiamati a eleggere il nuovo Papa, con quello spirito, uno spirito di servizio alla Chiesa universale per trovare un degno successore di Benedetto XVI che potesse curare le ferite della Chiesa colpita da vari scandali. Il discorso dell’arcivescovo di Buenos Aires ci stupì: il cardinale Bergoglio si presentava umilmente, quasi chiedendo scusa per aver preso la parola, ponendo però interrogativi che stavano a cuore a tanti altri porporati e che fino ad allora non erano stati ancora affrontati. Ci parlò della gioia di evangelizzare, della necessità di uscire e andare nelle periferie «non solo geografiche ma anche esistenziali», ammonendo che «quando la Chiesa non esce per evangelizzare, diventa autoreferenziale e si ammala» di narcisismo teologico, credendo involontariamente di avere una luce propria. Bergoglio parlò della Chiesa mondana, che vive in sé e per se stessa, chiarendo che «questa analisi dovrebbe far luce sui possibili cambiamenti e sulle riforme che devono essere fatte per la salvezza delle anime». Ricordo che prima di concludere il suo breve intervento, l’arcivescovo di Buenos Aires definì l’identikit del futuro Papa dicendo: «Pensando al prossimo Papa, c’è bisogno di un uomo che, dalla contemplazione e dall’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso la periferia esistenziale dell’umanità, in modo da essere madre feconda della “dolce e confortante gioia di evangelizzare”».
I confratelli porporati intervistati da Fabio Marchese Ragona raccontano in questo volume la loro esperienza, il loro servizio per la Chiesa e per il Papa, spiegano come la Chiesa di oggi si confronta con questo mondo sempre più globalizzato, dall’Africa all’Oceania, tra povertà, guerre civili, crisi di vocazioni, secolarizzazione e avanzata delle sette, con la certezza che le ferite della Chiesa stiano pian piano guarendo. Un racconto inedito dalla viva voce degli “uomini di Papa Francesco” che riescono con armonia e delicatezza a spiegare le sfide che si trovano ad affrontare nella Curia Romana e nei Paesi dove svolgono la loro missione.
L'Osservatore Romano

Massimo Gandolfini (Presidente del Comitato Difendiamo i nostri Figli - Family Day) ai fratelli del Cammino Neocatecumenale: Informazioni utili per la scelta elettorale.

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Carissimi fratelli e sorelle, 
la Pace del Signore sia con voi e con i vostri cari.

Considerato il clima di grande confusione in atto in ordine alle prossime elezioni politiche, ritengo doveroso da parte mia - in qualità di Presidente del Comitato Difendiamo i nostri Figli, nato con i due Family Day 2015/2016 - darvi delle informazioni che ritengo possano esservi utili nel lavoro di discernimento che certamente state facendo circa la vostra scelta elettorale.

Mi rivolgo a voi in quanto fratelli del Cammino, precisando che il Cammino in quanto tale non è e non può essere coinvolto in nessun modo nel discorso politico-elettorale.

Fermo restando il rispetto assoluto di ogni scelta personale, vi espongo le scelte che il nostro Comitato (nato dai Family Day del 2015 e 2016) ha deciso di assumere:

   - Il Comitato svolge un lavoro di carattere socio-culturale pre-politico, sostenendo quella "politica dei principi" che ha tanto efficacemente contribuito alla costruzione dello stato democratico votato alla promozione del bene comune, in piena sintonia con quella "evangelizzazione del mondo della cultura" che il Beato Papa Paolo VI ha efficacemente delineato quando definì la politica "la forma più alta ed esigente della carità, per il conseguimento del bene comune. Essa è prima di tutto servizio, e richiede costanza, impegno, intelligenza e onestà".

   - Papa Francesco, il 30 aprile 2015, incontrando gli aderenti alle Comunità di Vita Cristiana (CVX), Lega Missionaria Studenti d'Italia in Aula Paolo VI, parlando a braccio ha affermato che: "La Chiesa non è un partito politico... un partito solo dei cattolici non serve e non avrà capacità convocatorie perchè farà quello per cui non è stato chiamato... Fare politica è importante, la piccola e la grande politica... Un cattolico deve fare politica..".

   - Il Comitato non è un partito, ha deciso di non fondare alcun partito e non ha un suo partito di riferimento.

   - Nel suo impegno in difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale, della famiglia e della responsabilità educativa dei genitori verso i figli, ha avuto il grande merito di aver portato questi temi nel cuore della politica e delle forze partitiche, registrando condotte assai diverse, che vanno dal rifiuto completo di qualsiasi dialogo alla condivisione di una battaglia comune.

   - A Roma il 27 gennaio scorso abbiamo chiesto ai partiti di centro-sinistra, di centro-destra e al Movimento 5 stelle di sedersi allo stesso tavolo per affrontare la grave emergenza natalità in cui versa il nostro Paese: solo Lega, Fratelli d'Italia, Forza Italia e Noi per l'Italia (UDC) hanno accolto il nostro appello, dando vita ad un virtuoso dialogo e programma a favore della vita e della famiglia.

   - Nel corso della scorsa legislatura, i parlamentari che si sono impegnati in prima persona per difendere le nostre istanze, mostrando una onestà e un coraggio che li ha portati a patire sofferenze anche all'interno degli stessi partiti di appartenenza, sono tutti militanti nell'area del centro-destra (solo qualche esempio: Roccella, Giovanardi, Fedriga, Palmieri, Menorello etc...). Ad essi va la nostra gratitudine formale e sostanziale, sostenendoli oggi con il nostro voto.

   - Il Comitato in quanto tale ha espresso tre suoi candidati: Simone Pillon a Milano, Federico Iadicicco a Roma e Giancarlo Cerrelli a Crotone. A loro, in particolare, va il nostro completo sostegno.

   - Stante l'attuale legge elettorale, che non prevede le preferenze personali, diventa imperativo votare una forza politica che ha la certezza di entrare in parlamento, portando persone nostre "amiche". Oggi, la coalizione che ha condiviso le nostre istanze è quella del centro-destra, con i partiti che la compongono. In questa prospettiva il cosiddetto "voto di testimonianza", dato al di fuori di detta coalizione, è personalmente legittimo ma politicamente non proficuo, potendo addirittura riverlarsi dannoso laddove l'elezione di un candidato si gioca sul filo della decina di voti.

   - E' per queste ragioni che - pur condividendo i temi di fondo - riteniamo inopportuno e strategicamente sbagliato votare il "Partito della Famiglia", che - lo diciamo con rammarico - si è assunto la dannosa responsabilità di dividere il popolo del Family Day il giorno dopo il Circo Massimo.


Per avere maggiori dettagli (collegi e candidati) riguardanti il vostro territorio, vi invito a consultare il sito del nostro Comitato e ad interpellare la nostra segreteria (www.difendiamoinostrifigli.it).

Un ultimo appello: andate a votare e convincete le persone a voi vicine ad andare a votare. Come diceva un filosofo inglese del XVIII secolo: "Perchè il male trionfi, è sufficiente che i buoni rinuncino a combattere".
Grazie per l'attenzione che mi avete dedicato.
Un abbraccio di Pace nel Signore a ciascuno di voi.

Massimo Gandolfini
Comitato Difendiamo i Nostri Figli - Family Day

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Una proposta concreta

roccella_eutanasia_vita


www.notizieprovita.it/

Come abbiamo ripetuto milioni di volte, ProVita non scende in campo a fianco di alcun partito. Ma dà voce a quei candidati – di qualsiasi partito – che condividono i valori per cui esiste e agisce:  vita, famiglia, libertà educativa dei genitori. 
Tra i tanti ce n’è qualcuno che ha dimostrato concretamente nelle passate legislature di essere un prolife DOC: e tra questi Eugenia Roccella si è sempre distinta nelle battaglie in Parlamento sui proncipi non negiziabili. Le abbiamo rivolto alcune domande.
On. Roccella, lei fa parte di quel manipolo di coraggiosi che in Parlamento si è sempre battuto all’ultimo sangue per la Vita e per la famiglia. Vuole ricordare qualcuna di queste battaglie ai nostri Lettori?
  • In questa legislatura, contro la vita e la famiglia è stato sferrato un attacco senza precedenti. E questo per un motivo molto semplice: i governi Renzi-Gentiloni non sono stati capaci di far uscire l’Italia dalla crisi e hanno pensato bene di seguire la scia della promozione dei cosiddetti nuovi diritti, proprio per tentare di coprire i loro fallimenti. Diritto a morire, divorzio breve, unioni e adozioni gay, l’elenco purtroppo è lungo. Emblematico è il caso del biotestamento, approvato in fretta e furia con la solita fiducia, proprio allo scadere della legislatura pur di poter dire in campagna elettorale “l’abbiamo fatto”. La legge è talmente fatta male sul piano tecnico che (per fortuna) non si riuscirà nemmeno ad applicarla senza farla tornare in parlamento. Ma anche la legge sulle unioni civili non è stata da meno: forzature parlamentari, “canguri”, ancora voti di fiducia per blindare il testo e poi la truffa della stepchild adoption. Qualcuno si è addirittura vantato di aver bloccato l’adozione gay, stralciandola dal testo. In realtà chi ricorre all’estero alla pratica dell’utero in affitto sa benissimo che una volta tornato in Italia non avrà alcun problema a far trascrivere l’atto di nascita del bambino. E poi ci sono i provvedimenti che siamo riusciti a fermare, come quello contro l’omofobia, che avrebbe ripristinato il reato di opinione, e quello sull’introduzione del gender nelle scuole.
In virtù di ciò, quali sono gli interventi più urgenti da fare, secondo lei, per riparare i danni fatti nella passata legislatura?
  • Io ho provato a lanciare una proposta, ma vedo che anche nel centrodestra non l’ha raccolta nessuno. Secondo me è necessaria una svolta visibile e forte: è necessario impegnarsi subito, nella prossima legislatura, per abrogare o modificare radicalmente quelle leggi. Personalmente ho preso questo impegno all’incontro sulla denatalità in cui erano presenti Salvini, Meloni, Parisi, Gasparri, oltre a Gandolfini. Ma quando i giornalisti sono andati a chiedere se i leader dei diversi partiti erano d’accordo, nessuno ha voluto aderire pubblicamente alla mia proposta e prendere questo impegno. Io continuo a credere che solo nel centrodestra ci sia agibilità politica per i cattolici (ed è per questo che sono candidata con Noi con l’Italia dentro la coalizione), ma vedo anche che nessuno crede davvero che su queste leggi si possa tornare indietro. Quindi torno a lanciare il mio appello e la mia richiesta a Salvini, Berlusconi e Meloni:non serve giurare sul Vangelo, se non si promette che il centrodestra su queste leggi farà un’inversione di rotta totale.
Ci spiega cosa è il “quarto polo” di cui lei fa parte, come e perché si è formato?
  • Intanto partiamo da un dato di fatto: allo stato attuale, solo il centrodestra potrebbe raggiungere la maggioranza, e quindi vincere e garantire un governo al nostro Paese. In caso contrario, vivremo una fase di instabilità politica che potrebbe portarci ad un “Gentiloni forever” o comunque a un nuovo governo che non rispecchia la scelta dei cittadini. Partendo da questo quadro, Noi con l’Italia nasce proprio con l’obiettivo di allargare la proposta della coalizione di centrodestra, dando voce all’anima moderata e in modo particolare a quella cattolica che in questo nuovo soggetto è molto presente: penso a tanti amici con cui ho condotto alcune battaglie parlamentari, come Binetti, Quagliariello, Formigoni o Menorello. E ad altri, come Mimmo Delle Foglie, l’organizzatore del primo Family day, che ha condotto le stesse battaglie fuori dal parlamento. Il centrodestra, pur avendo anche aree fortemente laiche al suo interno, è l’unico grande schieramento che garantisce ai cattolici lo spazio per farsi sentire, e anche, molto spesso, per trascinare l’intera coalizione su posizioni a favore della vita e della famiglia. Penso per esempio alla grande e generosa battaglia per salvare la vita ad Eluana Englaro, in cui si è arrivati fino allo scontro istituzionale tra il presidente del consiglio e il presidente della repubblica. Allora Napolitano non volle firmare il decreto, ma la forza e la convinzione con cui tutto il centrodestra condusse quella lotta fece cambiare il clima culturale nel paese. L’alternativa al centrodestra sono i 5 stelle, statalisti e a favore di tutto, dall’eutanasia alle adozioni gay; o la sinistra, ormai completamente occupata dall’ideologia dei nuovi diritti individuali. La legge elettorale non crea altri spazi possibili: ogni voto sottratto alla coalizione di centrodestra regala una possibilità in più alla sinistra e ai 5stelle.
Lei si è mostrata sensibile e preoccupata per il diffondersi della barbara pratica dell’utero in affitto fin dal 2013, quando ancora non ne parlava nessuno. E’ pensabile una “regolamentazione” della cosa, o bisogna radicalmente vietarlo a livello internazionale?
  • Come si può pensare di regolamentare una pratica che sfrutta le donne e commercializza i bambini? D’altra parte voglio ricordare che in Italia la legge 40 già vieta questa pratica, ma i tribunali non applicano il divieto. Prima ancora di fare dell’utero in affitto un reato universale, inasprendo le pene (e su questo c’è nel centrodestra un’ampia condivisione) è necessario cambiare la legge sulle unioni civili: come ho già detto, il comma 20 è una vera e propria truffa che consente nei fatti il ricorso alla maternità surrogata, demandando la questione alla magistratura. Non si otterrà nessun risultato nella lotta contro questa barbara pratica se non si cambia la legge sulle unioni civili.
Alfie e Isaiah sono altri due bambini che rischiano di fare la fine di Charlie Gard, nei prossimi giorni. Con la legge sulle DAT potremmo avere anche qui da noi dei casi del genere?
  • Certamente. Con la legge sul biotestamento ora anche in Italia, in caso di conflitto tra il medico e i genitori o il tutore di un minore, si può ricorrere al giudice e se quest’ultimo emette una sentenza che stabilisce che è nel migliore interesse del bambino morire, allora i genitori avranno le mani legate. Purtroppo ci stiamo adeguando a quanto accade in quei paesi che ci vengono presentati come modello di civiltà. Paesi dove la vita di un bambino gravemente malato viene definita “senza qualità” e dove il suo “migliore interesse” è solamente morire. Se queste sono conquiste di civiltà…Di fronte a ciò credo che l’ “eccezione italiana” come la definì Giovanni Paolo II, non sia affatto retrograda o reazionaria, come viene etichettata, ma che anzi sia all’avanguardia in materia di tutela della dignità umana.
Un bilancio della 194, dopo 40 anni?
  • Dopo tanti anni si potrebbe immaginare che l’attacco degli abortisti sia finito, invece non è così. In questi anni c’è stata una fortissima aggressione, anche a livello internazionale, contro l’obiezione di coscienza, che è stata fermata con difficoltà. Anche questo è un fronte che non si può mai lasciare sguarnito, perché l’obiettivo è introdurre anche in Italia le cliniche private che fanno l’aborto a pagamento, cambiando la legge e permettendo a organizzazioni come l’Ippf di entrare anche nel nostro paese.
Chi è che difenderà i principi non negoziabili nella prossima legislatura?
  • Se il centrodestra conquisterà la vittoria e se riusciremo ad eleggere un numero consistente di parlamentari che hanno a cuore questi principi, allora avremo la possibilità di lavorare per arginare la deriva antropologica che di danni già ne ha fatti troppi.
Francesca Romana Poleggi

FAMIGLIA BENE COMUNE - dialogo con Massimo Gandolfini (FAMILY DAY)

Gandolfini: "Con Roccella e il centrodestra nel prossimo Parlamento per difendere la famiglia"



lunedì 26 febbraio 2018

La grazia della vergogna.



Due consigli spirituali di Papa Francesco per la Quaresima: «non giudicare gli altri» e «chiedere a Dio la grazia della verg0gna per i propri peccati». Sono «il giudizio» e «la misericordia», con il suggerimento di un esame di coscienza personale, i cardini della meditazione del Pontefice nella messa celebrata lunedì mattina, 26 febbraio, a Santa Marta. «La Quaresima è un cammino di purificazione: la Chiesa ci prepara alla Pasqua e ci insegna anche a rinnovarci, a convertirci» ha subito fatto presente Francesco. E «possiamo dire che il messaggio di oggi è il giudizio, perché tutti noi saremo sottoposti a giudizio: tutti». Tanto che «nessuno di noi potrà fuggire dal giudizio di Dio: il giudizio personale e poi il giudizio universale».
«Sotto quest’ottica — ha affermato il Papa — la Chiesa ci fa riflettere su due atteggiamenti: l’atteggiamento verso il prossimo e l’atteggiamento con Dio». In particolare nei riguardi del «prossimo ci dice che non dobbiamo giudicare: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati. Di più: perdonate e sarete perdonati”». E «il Signore è chiaro in questo» ha spiegato Francesco, citando il passo del vangelo di Luca (6, 36-38) proposto dalla liturgia del giorno.
Certo, ha proseguito il Pontefice, «ognuno di noi può pensare: “io mai giudico, io non faccio il giudice”». Ma «se noi cerchiamo nella nostra vita, nei nostri atteggiamenti, quante volte l’argomento delle nostre conversazioni è giudicare gli altri!». Magari anche «un po’ naturalmente» viene da dire: «questo non va». Ma, ha insistito Francesco, «chi ti ha fatto giudice, a te?».
In realtà «questo giudicare gli altri è cosa brutta, perché l’unico giudice è il Signore». Del resto, «Gesù conosce questa tendenza nostra a giudicare gli altri» e ci ammonisce: «Stai attento, perché nella misura con cui tu giudichi, sarai giudicato: se tu sei misericordioso, Dio sarà misericordioso con te». Quindi «non giudicare».
Quasi come fosse un test, il Papa ha proposto: «Possiamo farci questa domanda: nelle riunioni che noi abbiamo, un pranzo, qualsiasi cosa sia, pensiamo della durata di due ore: di quelle due ore, quanti minuti sono stati spesi per giudicare gli altri?». E se «questo è il “no”, qual è il “sì”? Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso. Di più: siate generosi, “date e vi sarà dato”». Ma «cosa mi sarà dato? “Una misura buona, pigiata, colma e traboccante”» ha ricordato Francesco citando ancora il brano di Luca. E cioè «l’abbondanza della generosità del Signore, quando noi saremo pieni dell’abbondanza della nostra misericordia nel non giudicare».
Francesco ha così suggerito di pensare «un po’ a questo: io giudico gli altri? Come giudico? Nello stesso modo, io sarò giudicato. Sono misericordioso con gli altri? Nello stesso modo il Signore sarà misericordioso con me». E «possiamo — oggi, domani, dopodomani — prendere qualche minuto per pensare a queste cose, e ci farà bene».
«La seconda parte del messaggio della Chiesa di oggi — ha proseguito — è l’atteggiamento con Dio». Ed «è tanto bello come il profeta Daniele ci dice, come dev’essere l’atteggiamento con Dio: umile», ha spiegato il Pontefice  riferendosi al passo biblico di  Daniele (9, 4-10). Dunque, «tu sei Dio, io sono peccatore: il dialogo con Dio parte sempre da questa adorazione penitenziale: tu sei Dio, io sono peccatore». Scrive infatti Daniele: «Abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai comandamenti e dalle tue leggi!». In una parola, «abbiamo peccato, Signore».
Ma proprio «questa è l’umiltà davanti a Dio. Ognuno di noi conosce i propri peccati e questo può dirlo davanti a Dio: Signore, ho peccato, sono un peccatore e “a te conviene la giustizia”». Oltretutto «noi sappiamo che la giustizia di Dio è misericordia, ma bisogna dirlo: “A te conviene la giustizia, a noi la vergogna”». E «quando s’incontrano la giustizia di Dio con la nostra vergogna, lì c’è il perdono».
A questo proposito Francesco ha suggerito le domande da fare a se stessi per un esame di coscienza: «Io credo che ho peccato contro il Signore? Io credo che il Signore è giusto? Io credo che sia misericordioso? Io mi vergogno davanti a Dio, di essere peccatore?». E la risposta è «così semplice: “A te la giustizia, a me la vergogna”». Dunque, dobbiamo «chiedere la grazia della vergogna».
«Nella mia lingua materna — ha confidato il Papa — alla gente brutta, cattiva, che fa del male si dice “svergognato”, senza vergogna». Perciò, ha insistito, dobbiamo «per favore chiedere la grazia che mai ci manchi la vergogna davanti a Dio: “A te la giustizia, a me la vergogna”». Perché «la vergogna è una grande grazia».
In conclusione, il Pontefice ha invitato a esaminare il nostro «atteggiamento verso il prossimo», ricordando «che con la misura con cui io giudico, sarò giudicato». Perciò  «non devo giudicare». E «se dico qualcosa sull’altro, che sia generosamente, con tanta misericordia». Quanto all’«atteggiamento davanti a Dio», deve essere centrato su «questo dialogo essenziale: “A te la giustizia, a me la vergogna”».
L'Osservaore Romano

Chiesa di martiri





Nella serata di sabato 24 febbraio il Colosseo è stato illuminato di rosso, il colore del sangue dei martiri, per ricordare i cristiani discriminati e perseguitati nel mondo per la loro fede. A colorarsi di rosso sono state contemporaneamente anche la chiesa di San Paolo a Mosul e la cattedrale maronita di Sant’Elia ad Aleppo. All’iniziativa, promossa dall’organizzazione Aiuto alla Chiesa che soffre, ha partecipato anche il cardinale segretario di Stato che ha pronunciato il discorso che pubblichiamo integralmente.

 di
Pietro Parolin

Mi sia concesso di rivolgere un ringraziamento alla Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” per aver disposto la presente iniziativa e per l’invito a prendervi parte. Saluto cordialmente tutti i presenti e in modo particolare quanti ci seguono in collegamento da Aleppo e da Mosul. Attraverso loro abbraccio idealmente tutti coloro che, nel Medio Oriente e nel mondo intero, sono provati da sofferenze fisiche e morali e continuano a pagare le conseguenze di conflitti di vario genere, a volte nel silenzio, nell’indifferenza e anche nell’inerzia della comunità internazionale.
Aleppo e Mosul — due luoghi simbolo dell’immane dolore provocato da ideologie fondamentaliste, dall’odio e da interessi geostrategici ed economici — vengono questa sera collegati con un altro simbolo di forte risonanza per i cristiani e per il mondo intero, il Colosseo. Nell’anno 2000 l’Anfiteatro Flavio fu scelto da Giovanni Paolo II per la commemorazione ecumenica dei Testimoni della fede del XX secolo. La testimonianza offerta con lo spargimento del sangue continua tuttora, anche nel nostro tempo, come non manca di ricordare spesso il Santo Padre, affermando che «oggi la Chiesa è Chiesa di martiri».
Questa sera ricordiamo i cristiani perseguitati, senza dimenticare i seguaci di altre religioni, che in differenti parti dell’Oecumene subiscono violenza frutto di odio cieco, e soffrono le conseguenze di gravi violazioni delle loro libertà fondamentali, tra cui primeggia la libertà di religione. Questi nostri fratelli e sorelle sono le prime vittime della propagazione di una mentalità che non riconosce spazio per l’altro, per il diverso, e che preferisce sopprimere anziché integrare tutto ciò che, in qualche modo, sembra mettere in discussione le proprie certezze.
Il rispetto della libertà religiosa non è altro che il riconoscimento della dignità della persona umana. Ieri, invitati da Papa Francesco, abbiamo pregato e digiunato invocando da Dio il dono della pace, soprattutto per la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan e la Siria. Solo tornando a Dio, fonte della dignità di ogni essere umano, possiamo diventare artefici di pace e ricucire i rapporti interpersonali e riaggregare società spezzate dall’odio e dalla violenza. Oggi, presenziamo a questo gesto di sostegno e di vicinanza. Il simbolismo delle immagini che vediamo e che si presenteranno davanti ai nostri occhi tocca le coscienze e scuote dall’indifferenza, diventando un appello alla consapevolezza e all’impegno.
Il recente ritrovamento, in una delle gallerie superiori del Colosseo, di un simbolo cristiano, una piccola croce incastonata tra due lettere di quello che sembra essere un simbolo pagano di forza e di dominazione, ci richiama a un’altra realtà: la potenza salvifica di Cristo che, umile ed inerme agisce nella storia con un linguaggio e con gesti che non conoscono altra espressione se non quella dell’amore. Ricordare questo messaggio salvifico di speranza, che ha toccato anche le nostre vite, è quanto mai necessario.
Oggi più che mai, tanti cristiani in tutto il mondo lo testimoniano, vivendo la dolorosa realtà della sofferenza a causa della loro fede, il prezzo da pagare per testimoniare Cristo, il suo messaggio di amore e di perdono. A loro va la nostra preghiera, il nostro sostegno, la nostra solidarietà e il nostro incoraggiamento. Nei loro confronti si rinnova il nostro impegno spirituale e materiale l’assicurazione di voler intraprendere ogni strada percorribile per favorire la pace, la sicurezza e un futuro migliore, mentre a quanti si impegnano a sovvenire ai bisogni umanitari va il nostro sentito ringraziamento.
Assieme alla nostra solidarietà, sia di conforto ai fratelli la speranza nella potenza salvifica del Signore. Essa non opera alla maniera del mondo, ma di Dio: nell’amore umile che, lasciando ciascuno libero, è disposto a incarnarsi in ogni situazione, ad assumere ogni croce per sostenere, abbracciare e salvare. È la potenza inerme del chicco di grano che morendo porta molto frutto (cfr.Giovanni, 12, 24); è la laboriosa pazienza del minuscolo granello di senape (cfr.Marco 4, 30-32) che, seminato nel campo del mondo, cresce ogni giorno e con i suoi grandi rami offre, a quanti in esso cercano riparo, il conforto e la pace che solo l’amore può dare.

L'Osservatore Romano

La paura di fare il salto.


Sarah, Mueller e la caricatura dell’antimodernismo



Con una considerevole sintonia, quasi all’unisono, in contesti diversi e in forme differenziate, il Prefetto della Congregazione del Culto, Card. Sarah, e l’ex-Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Card. Mueller, si sono espressi con inusitata durezza contro forme della prassi e della dottrina ecclesiale, che trovano la loro radice nel Concilio Vaticano II e attuazione nel magistero di papa Francesco. Potremmo dire che forse mai, come in queste dichiarazioni obiettivamente “sopra le righe”, è emersa nei due cardinali la aperta ostilità verso la Chiesa e verso i pastori che si lasciano guidare dal testo e dallo spirito del Concilio Vaticano II. Esaminiamo brevemente le affermazioni dei due cardinali.
Comunione in bocca/in ginocchio e cambio di paradigma nella dottrina
L’intervento del Card. Sarah ha la forma di una Prefazione, che egli ha scritto ad un libro dedicato all’esame della storia della “comunione sulla mano” (cfr.http://www.lastampa.it/2018/02/23/vaticaninsider/ita/vaticano/sarah-c-un-attacco-diabolico-alleucaristia-che-si-riceve-solo-sulla-lingua-inginocchiati-JeGRVH1L79cu6878QGsqeK/pagina.html) . In quel contesto, egli si lascia andare a giudizi del tutto unilaterali e privi di equilibrio sulla tradizione della “Handkommunion”, arrivando addirittura a configurare un “attacco diabolico” in questo sviluppo recente – che riprende prassi antiche e del tutto assodate – ma che ai suoi occhi appare semplicemente come “negazione della sacralità” del sacramento e “attentato al suo contenuto”. Le profanazioni del S.S. Sacramento, che per Sarah si identificano anche nella “intercomunione” e nelle forme di un ripensamento della dottrina eucaristica, appaiono al Cardinale riducibili, incredibilmente, ad un effetto della Riforma liturgica. Solo una ripresa della prassi di “comunione in ginocchio e sulla lingua” sarebbe il baluardo contro queste diverse forme di profanazione. In sostanza, la Riforma della Riforma farebbe da scudo alla autentica santità cattolica.
Il card. Mueller, invece, in un testo scritto per First Things e intitolato “Sviluppo o corruzione” (https://www.firstthings.com/web-exclusives/2018/02/development-or-corruption), propone una interpretazione del magistero attuale sulla base di una rilettura delle opere di Newman, con cui ritiene di dover liquidare ogni discorso sul “cambio di paradigma” nella dottrina cristiana come una forma di “corruzione” della tradizione, come una caduta modernistica da cui guardarsi e da censurare. E l’esempio che propone è, ovviamente, Amoris Laetitia, che a suo avviso potrebbe essere letta correttamente soltanto mantenendo una assoluta continuità con i documenti che la precedono.
In entrambi i testi, con tutta la loro differenza, appare con chiarezza il tentativo di “ridurre a modernismo” ogni differenziazione rispetto alla prospettiva ottocentesca di comprensione della eucaristia, del magistero e del matrimonio. Vorrei svolgere qualche considerazione intorno a queste posizioni.
La “scomunica” di ogni differenza, eucaristica o dottrinale
Mi colpisce molto la radicalità della negazione dell’altro che traspare da questi testi. Da un lato per Sarah ogni prassi di comunione diversa da quella “in ginocchio e sulla lingua” rischia di essere liquidata come “attacco diabolico” alla tradizione sacrosanta. Ma come può, il Prefetto della Congregazione del culto, dimenticare totalmente che quella forma – così come egli la descrive e la illustra nei pastorelli di Fatima, in Giovanni Paolo II e in Madre Teresa di Calcutta – è una legittima interpretazione ottocentesca e novecentesca del “comunicarsi”, che il Movimento Liturgico aveva riconosciuto, già cento anni fa, come limitata e da integrare? Tutta la riscoperta del “rito di comunione”, come luogo specifico di relazione con la manducazione del sacramento, ha messo in moto quel ripensamento che oggi, sia pure con una certa comprensibile esitazione, permette alle comunità cristiane – prima che ai singoli battezzati – di riconoscersi in quello che fanno. Andare processionalmente (non in ginocchio) verso l’altare per ricevere (sulla mano) la particola (prodotta nella “fractio panis”), per diventare ciò che si riceve (Corpo di Cristo ecclesiale dal Corpo di Cristo sacramentale): di tutto questo non vi è alcuna traccia nelle parole del Card. Sarah. Così come tanto diversa appare la sua lettura dalla più ampia comprensione che J. Ratzinger/Benedetto XVI ha proposto della medesima questione: non solo mai mettendo in opposizione mano e bocca, piedi e ginocchia, ma riconoscendo anche che il meglio della teologia liturgica è venuto da un cambiamento del concetto di “forma”. Qui egli ha sottolineato, in un certo modo, un “cambiamento di paradigma” nella comprensione della “forma eucaristica” che ha profondamente sollecitato la Chiesa lungo tutto il XX secolo. Forse una lettura completa dei testi di J. Ratzinger/Benedetto XVI gioverebbe a tutti.
Questo permette di  rileggere anche le parole del Card. Mueller come una sorta di “cedimento” alla tentazione di “ridurre a modernismo” tutto ciò che non è mera ripetizione del già affermato e stabilito. E’ assai curioso che le citazioni che Mueller allega al suo testo siano tutte preconciliari, mentre dal Concilio Vaticano II si lascia suggerire non il centro, ma solo affermazioni marginali. In particolare non vi è alcuna considerazione della “indole pastorale”, che è il profilo più alto del Vaticano II, e dal quale, fin dal discorso inaugurale di Giovanni XXIII, deriva la necessaria e benedetta distinzione tra due livelli della tradizione che non si possono confondere: “altra infatti è la sostanza della antica dottrina del depositum fidei, altra la formulazione del suo rivestimento”. Questa principio cardine ci permette di leggere il Concilio Vaticano II come “cambio di paradigma”, ossia come principio di “traduzione della tradizione”, in vista di una fedeltà più autentica e più radicale. Il fatto poi che tutto questo sia utilizzato da Mueller soltanto per difendere una lettura “vuota” di AL identifica bene il cuore della questione. In realtà nel suo testo non si difende una dottrina o una disciplina classica, ma un assetto del rapporto tra Chiesa e mondo. Resta in primo piano la nostalgia di una Chiesa come “societas perfecta” e la pretesa di identificare il Vangelo con la normativa di una società chiusa: una teologia d’autorità, priva di ogni rapporto con la libertà in senso moderno. In realtà, in AL, il ripensamento della nozione di matrimonio, di adulterio, di coscienza, di storia e di famiglia non è un “cedimento al mondo moderno”, ma un modo di comprendere meglio il Vangelo.
La critica a Francesco e la critica al Concilio Vaticano II
In realtà, come appare chiaramente soprattutto dal testo di Mueller, vi è, in questa critica così radicale degli sviluppi magisteriali recenti – in materia liturgica e matrimoniale – una esplicita critica a Francesco e al suo magistero. Non è sorprendente che le “fonti” di cui si alimentano i due cardinali siano tutte preconciliari: da un lato i pastorelli del 1916, dall’altro i documenti antimodernistici di Pio X. Si discutono questioni attuali con strumenti vecchi e inadeguati. Francesco, invece, ha preso sul serio il Concilio Vaticano II e lo attua con fedeltà e coerenza. E’ come se questi cardinali dessero voce a quella parte di Chiesa che si era illusa di poter “addomesticare” il Vaticano II. Di poterne spegnere la profezia, di poterne aggirare le riforme, di poterne svuotare il dettato. Francesco risulta scandaloso perché fedele. Il “cambiamento di paradigma” non è il suo, ma quello conciliare. Che egli ha imparato bene, se, nell’identificare il profilo del “teologo” ha parlato di tre virtù necessarie: inquietudine, incompletezza, immaginazione. D’altra parte, proprio su questo piano, ad entrambi i cardinali, mi sentirei di consigliare una rilettura storica delle questioni che sollevano. Le pratiche di comunione eucaristica, lungo la storia, sono state assai diversificate e, soprattutto, hanno conosciuto “crisi” molto più gravi di quelle per cui oggi ci stracciamo le vesti. Quanto ai “diversi paradigmi”, chi potrebbe negare che la teologia del matrimonio – ma non solo essa -  abbia ricevuto diverse soluzioni secondo paradigmi differenziati? Il primato della tradizione giudaica e poi canonico romana, l’impatto con il mondo barbarico, la speculazione scolastica nel medioevo, la svolta istituzionale dopo Trento, la codificazione nel 1917 non sono forse diversi paradigmi che non dobbiamo confondere immediatamente con il Vangelo e con la dottrina?  Mi chiedo se una maggiore consapevolezza di queste differenze nella e della storia non renderebbe il giudizio di Sarah e di Mueller non solo teoricamente più equilibrato, ma anche dotato di maggior afflato ecclesiale.
Una citazione del 1945
Per concludere vorrei citare un testo, che trovo suggerito da un bel post del prof. Stefano Ceccanti, nel quale E. Mounier, nel 1945, invitava a non aver paura di “saltare”, di aprirsi al nuovo, di uscire da letture troppo povere e timide della grande tradizione cristiana. Vorrei dedicarlo non tanto ai due cardinali, ma a tutti coloro che, senza dirlo così esplicitamente, partecipano di questa tiepida apparenza di prudenza, che tanto facilmente si identifica con la diffidenza, con la paura e con la profezia di sventura:
“Uomini che hanno paura del salto, ecco cosa siamo diventati, uomini educati ad avere paura del salto. Tutti passano dall’altra parte e noi rimaniamo su questa riva degli abissi del futuro. Come faremo a imparare di nuovo il coraggio di saltare, esattamente in quei punti in cui la prudenza ci zittisce o farfuglia?” (E. Mounier, L’avventura cristiana, ed. Fiorentina, Firenze 1953, p. 99, ediz. originale 1945)

Kiko Arguello: La volontà di Dio, la Fede, il canto

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Qual'è la volontà di Dio? 
Che significa adorare Dio in spirito e verità? Uscire a predicare il Vangelo. La volontà di Dio è una solamente, dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: "Io sono venuto per fare la volontà del Padre mio, e la volontà del Padre mio è che non si perda nessuno di quelli che Lui mi ha dato, ma che io li risusciti nell'ultimo giorno". Questa è la volontà di Dio. Sai qual'è la volontà di Dio per te? Che tu non vada all'inferno, perchè ci puoi andare. Questa è la volontà di Dio, la unica volontà che ha sopra di te. La volontà che Dio ha sul mondo, su di te, è che tu viva, salvarti dall'inferno, salvarti dalla morte.


Che cosa è la fede? 
Lo Spirito di Gesù Cristo risuscitato che testimonia al nostro spirito che siamo figli di Dio. Avere dentro Gesù, avere dentro la fonte della vita. Hai bisogno di avere lo Spirito Santo dentro di te, il dono di Dio. "Se tu conoscessi il dono di Dio...": e questo dono come si riceve? Attraverso l'orazione.

Gesù ha detto alla donna samaritana: "Dammi tu acqua", per farti vedere che non hai acqua, fratello, che non hai acqua da dare a nessuno. Hai bisogno che Lui ti dia questa acqua.

 Sulla funzione del canto...

Isaia 55 dice: 

"Come la pioggia e la neve 
scendono dal cielo e non vi ritornano 
senza avere irrigato la terra, 
senza averla fecondata e fatta germogliare, 
perché dia il seme al seminatore 
e pane da mangiare, 

 così sarà della parola 
uscita dalla mia bocca: 
non ritornerà a me senza effetto, 
senza aver operato ciò che desidero 
e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata"

 (Is. 55, 10s). 

Così è la Parola di Dio, che scende dal cielo e compie la sua missione in noi. Una missione di giudizio: ossia, per colui che non la vuole ascoltare nè ricevere, questa Parola scopre la sua durezza di cuore; per chi la vuole ricevere, per quello che la accoglie, nasce una nuova vita e si trasforma. 
Cantare salmi significa dire a Dio: la tua Parola ha compiuto in mezzo a noi la sua missione. Qual'è la missione della Parola di Dio? Fare di noi, che non eravamo un popolo, un popolo unico, fare di tutti noi, che siamo gente piena di conflitti, macelli, pieni di complessi, di problemi, fare di noi un solo cuore. Cantando tutti ad una voce, con lo stesso spirito, esprimendo in modo sacramentale, con un segno esterno (il canto, ndr) quello che sta facendo la Parola di Dio in noi...

(Tratto da: Kiko Arguello e Carmen Hernandez, Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale, cfr. Statuto, art.2, 2°, Vol. V, "Iniziazione alla Preghiera")

La storia della Salvezza in versi....

portada ITALIANA DEF


Jesús Cortés è un insegnante di musica dell’istruzione primaria in un centro pubblico della Junta de Andalucía. Appartiene alla prima Comunità Neocatecumenale della Parrocchia dell’Immacolata Concezione a La Linea de la Concepcion, Cadice, è un catechista, didascalo e membro dell’Orchestra del Cammino Neocatecumenale.
LA STORIA DELLA SALVEZZA IN VERSI è un libro in cui, attraverso semplici rime, le figure della Storia della Salvezza possono essere avvicinate ai bambini. È un modo più didattico e divertente per portare la catechesi ai più piccoli
Il libro contiene belle storie in cui l’azione di Dio è vista tra le persone con problemi, angoscia e sofferenza. C’è un filo comune in tutto il libro, un grido che appare in ogni capitolo: “NULLA È IMPOSSIBILE PER DIO”.
In questo libro è stato progettato un metodo di lavoro semplice. Inizia con una poesia sulla figura delle Sacre Scritture. Sono piccole rime in cui, in chiave catechetica, i bambini vengono introdotti alla Storia della Salvezza. Dopo questo poema ci sono alcune domande per dialogare con i bambini sul significato del testo. Questo dialogo servirà a prepararli ad ascoltare una lettura della Parola di Dio. Poi c’è una catechesi, una riflessione su questa figura. In questa catechesi viene annunciato l’amore di Dio, l’amore che Dio ha per noi. Per finire i bambini devono esprimere in un disegno ciò che più gli piace. V’è anche un materiale per i genitori, i catechisti, gli insegnanti, con omelie di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e trattata Francisco di cifre.
Questo libro nasce dall’esigenza di aiutare catechisti, insegnanti e genitori nel prezioso compito di trasmettere la fede alla generazione successiva. Questo libro sviluppa un metodo di lavoro semplice, divertente e didattico. È necessario uno scambio di esperienze tra due generazioni: genitori e figli, catechisti e bambini. Questo libro vuole essere un granello di sabbia nel campo della Nuova Evangelizzazione.
Il libro è stato curato dalla Redazione BUENA NUEVA con un prologo di Mariolina Coghe, delle Equipo Internazionale della postcressima dal cammino neocatecumenale
Il libro è stato presentato presso il Centro neocatecumenale diocesano Jerez lo scorso 26 dicembre e nel mese di febbraio è stato presentato in diverse parrocchie a Madrid: 3 febbraio a Santa Caterina Labouré, 27 febbraio a San Isidro Labrador e il 3 marzo a San José Obrero de Móstoles.
Si è esibito anche a Siviglia, a Málaga e in diversi atti con i primi catechisti di comunione della diocesi di Cadice.
Nel gennaio 2018 sarà presentato nella Parrocchia di San Gonzalo de Sevila e il 27 febbraio nella parrocchia di San Lorenzo Mártir a Valencia.
I benefici andranno per aiutare l’evangelizzazione svolto dal CENTRO DIOCESANO NEOCATECUMENALE Sancta Maria AFRICA Ceuta in Diocesi Sherry, Cadice-Ceuta.

Perché questo libro?

Un modo più didattico e divertente per portare la catechesi ai più piccoli. Un libro per lavorare con bambini dai 6 ai 12 anni. Uno strumento pratico per la trasmissione della fede. I benefici della sua vendita saranno destinati alla Nuova Evangelizzazione attraverso il Centro Neocatecumenale Diocesano “Sancta María de África”., Ceuta
Il libro dell’Apocalisse ci illumina il momento in cui viviamo: “Allora il Drago vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua, dietro la Donna, per trascinarla con la sua corrente” (Ap 12,15). Questo é la cultura pagana in cui i cristiani vivevano a Roma.
La cultura è l’insieme di norme, costumi, pensieri, ideologie e valori condivisi da un gruppo. I nostri figli sono in una cultura senza Dio dove valori, costumi, ideologie, pensieri sono contrari alla rivelazione. È il mistero dell’iniquità di cui parla San Paolo.
Come aiutare i nostri figli ad andare controcorrente? Sono profondamente convinto che i nostri figli saranno sommersi da un mondo che predica un’antropologia del tutto pagana. I nostri figli saranno in grado di resistere agli agguati della Bestia che attraverso la cultura, i mezzi di comunicazione, l’ambiente, predica dei valori dimetricamente opposti alla rivelazione? I nostri figli difronte a una cultura senza Dio perderanno? Oggi più che mai credo sia necessario ed urgente trasmettere la fede ai figli.
Questo libro è offerto come aiuto nel lavoro con i bambini. Un viaggio tra le pagine della Genesi per scoprire Chi è Dio?
Dall’esperienza di Abramo, Isacco e Giacobbe, dall’esperienza delle Matriarche, possiamo scoprire che Dio agisce nella storia e che Dio della morte attira la vita perché “NULLA È IMPOSSIBILE A DIO”.

Don Fabio Rosini. Le ultime parole di Gesù sulla Croce- 002

Vangelo dalle periferie...





sabato 24 febbraio 2018

II Domenica di Quaresima – Anno B – 25 febbraio 2018



"In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.

Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti." Parola del Signore 
Commento di mons. Pierbattista Pizzaballa
L’episodio della Trasfigurazione fa parte del cammino di formazione alla comprensione della vera missione messianica che Gesù sta portando avanti con i suoi discepoli. Gesù, diremmo oggi, fa ai discepoli una catechesi sulla sua messianicità e sulla Pasqua. Proprio sei giorni prima (Mc 9,2), infatti, Gesù aveva parlato loro, per la prima volta, della morte in croce che avrebbe subito a Gerusalemme (Mc 8,31). In seguito, aveva anche chiarito quali dovessero essere le condizioni che rendono adatto un discepolo alla sequela di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34).
Ma non parla loro solo della croce: la formazione, così, sarebbe incompleta. Sul Tabor, trasfigurato e risplendente di gloria, Gesù parla ai discepoli anche della risurrezione, e annuncia loro, non a parole ma con un evento di luce, che la croce ha come suo esito ultimo non il fallimento definitivo, ma il passaggio alla gloria, alla vita del Padre. Nell’imminenza della passione, Gesù prepara i discepoli, e lo fa mostrando loro un anticipo di gloria, perché dalla croce non rimangano scandalizzati.
Ma è solo questo? Questa catechesi di Gesù sulla Pasqua ha davvero come esito una maggiore comprensione da parte dei discepoli? Evita loro lo scandalo, il tradimento, il rinnegamento, la fuga, la vergogna? Il ricordo dell’esperienza del Tabor li custodirà dalla paura? Effettivamente no.
La trasfigurazione, come l’annuncio della passione, non serve ad evitare ai discepoli lo scandalo della croce, non è un’esperienza così forte da renderli capaci di stare con Gesù fino alla fine. Nonostante i tre annunci della passione, nonostante la trasfigurazione, tutti i discepoli misurano, sotto la croce, la loro incapacità a seguire il loro Maestro, il loro non essere discepoli che sanno rinnegare se stessi. Tradiscono (Mc 14,43), fuggono (Mc 14,50) e perfino rinnegano (Mc 14,72), come sappiamo.
Ciò ci apre a due ulteriori comprensioni.
La prima è che in realtà, come non avevano compreso l’annuncio della passione, così ora i discepoli non capiscono quasi nulla dell’esperienza della trasfigurazione (Mc 9, 6.10). E questo non perché siano particolarmente ottusi, ma perché al cuore della fede in cui i discepoli stanno camminando c’è qualcosa che non si può comprendere con le sole capacità umane, che va oltre le categorie umane che i discepoli posseggono per leggere la vita. Non possiamo comprendere la croce, la Pasqua, attraverso un insegnamento come se fosse qualcosa da sapere, quasi fosse una informazione da ascoltare qualche volta per recepirla. Per comprendere fino in fondo la Pasqua, i discepoli dovranno invece sperimentare il proprio fallimento, la propria incomprensione, nonostante durante il suo ministero fossero stati in qualche modo preparati dai discorsi di Gesù. Solo dopo avere preso coscienza del loro fallimento e del loro tradimento, potranno rileggere il cammino fatto con Gesù e ricordare tutto con una memoria nuova, che cambia la vita, che dona la chiave degli avvenimenti.
Ma solo lo Spirito Santo potrà compiere nei discepoli questo passaggio (Gv 14,26), fino a incidere nel loro cuore il vero Volto del Signore, quello crocifisso e risorto.
La seconda comprensione è che la trasfigurazione – che non è servita a sostenere la fedeltà dei discepoli – è un momento assolutamente gratuito della vita di Gesù e della sua relazione con i suoi: Gesù mostra loro semplicemente la Vita, mostra che la vita vera è un’umanità rivestita di gloria, abitata da Dio. Questa Vita è generata e donata dal Padre.
E’ il Padre che interviene dentro questo momento, sul Tabor, per mettere il suo sigillo, per dire che questa vita piena e bella viene solo da Lui. Non c’è trasfigurazione senza il Padre, perché la vita nuova che risplende in Gesù è la vita dei figli: “Questi è il Figlio mio, l’amato” (Mc 9,7).
La notte di Pasqua, la Chiesa battezzerà diversi bambini e adulti, genererà a vita nuova dei nuovi figli: darà loro questa vita, quella che oggi vediamo risplendere in Gesù: quella che la Chiesa stessa ha ricevuto dal costato trafitto del Signore, quella dei figli che sanno perdere se stessi nell’amore. E questi nuovi figli saranno rivestiti di una veste bianca, proprio come Gesù sul Tabor.
Pietro, di quanto sta accadendo sotto i suoi occhi, capisce bene solo questo: che è bello (Mc 9,5) e sorge perciò il desiderio di stare lì, di fermarsi lì.
La via per rimanere lì, però, non è fare tre tende. La via è indicata dal Padre: “Ascoltatelo” (Mc 9,7).
“A lui darete ascolto” è la profezia che prometteva a Israele un nuovo Mosè (Dt 18,5). Ascoltare Lui solo (Mc 9,8), il Signore, è la via della nuova liberazione, della nuova e definitiva Pasqua.
+Pierbattista

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Trasfigurazione di Cristo per trasfigurare lo sguardo umano rendendolo capace di vedere la presenza di Dio nella carne del Crocifisso 


di Mons. Francesco Follo

1) Tentazione e Trasfigurazione.
Nella prima domenica di Quaresima, abbiamo contemplato Cristo superare la prova della fame. Non si trattò solo di una fame corporale, come ogni essere umano Gesù ebbe tre fami:
  1. fame di vita, che tenta l’uomo al possesso e l’accumulo spropositato di beni materiali. Per questo il demonio gli chiese di trasformare le pietre in pane;
  2. fame di relazioni umane, che possono essere d’amicizia o di potere. Il diavolo tenta Cristo di soddisfare questa fame offrendogli potere;
  3. fame di onnipotenza, che spinge a soffocare il desiderio di Dio cioè l’anelito di infinito e di libertà senza limiti, inducendo alla tentazione di progettare la propria esistenza secondo i criteri umani della facilità, del successo, del potere, dell’apparenza, cedendo alla tentazione di adorare il Menzognero (il diavolo) invece di adorare il vero Amore provvidente.
Il Messia vinse la tentazione di queste tre fami, usando come criterio di discernimento quello della fedeltà al progetto di Dio, a cui aderiva pienamente e di cui Lui è Parola fatta carne per redimerci.
Imitiamo l’esempio di Cristo, “usando” la Parola di Dio come strumento che ci è messo a disposizione per capire la volontà di Dio e vincere la tentazione di queste tre fami: di vita, di amore e di potere. relazioni e di Dio: “Quando sei colto dai morsi della fame – e possiamo aggiungere anche della tentazione – lascia che la Parola di Dio divenga il tuo pane di vita, lascia che Cristo sia il tuo Pane di Vita” (Sant’Agostino d’Ippona),
Dal deserto – il luogo della prova, della ribellione, dove abita il tentatore, l’accusatore (I domenica di Quaresima) – al monte della trasfigurazione, al luogo della manifestazione di Dio, della sua rivelazione, della sua santità. Questo è il cammino che seconda domenica di Quaresima apre davanti a noi.
Dal deserto, che ricorda che la vita umana è un esodo, un ritorno a casa che passa per il deserto, luogo della prova e dell’incontro con Dio, oggi arriviamo al Monte Tabor, il luogo della trasfigurazione, che manifesta la  verità splendente di Cristo, per permettere a chi lo segue di arrivare alla Pasqua non nonostante la Croce ma attraverso la Croce.
Gesù, infatti, ci dice: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23). Ci dice, cioè, che per giungere con Lui alla luce e alla gioia della risurrezione, alla vittoria della vita, dell’amore, del bene, anche noi dobbiamo prendere la croce di ogni giorno, come ci esorta una bella pagina dell’Imitazione di Cristo: “Prendi, dunque, la tua croce e segui Gesù; così entrerai nella vita eterna. Ti ha preceduto lui stesso, portando la sua croce (Gv 19,17) ed è morto per te, affinché anche tu portassi la tua croce e desiderassi di essere anche tu crocifisso. Infatti, se sarai morto con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella sofferenza, gli sarai compagno anche nella gloria” (L. 2, c. 12, n. 2).
Dunque, meditiamo insieme i fatti presentati da queste due domeniche, perché anticipano il mistero pasquale: la lotta di Gesù col tentatore anticipa il grande duello finale della Passione, mentre la luce del suo Corpo trasfigurato anticipa la gloria della Risurrezione. Da una parte vediamo Gesù pienamente uomo, che condivide con noi persino la tentazione. Dall’altra, lo contempliamo Figlio di Dio, che divinizza la nostra umanità.

2) Esodo di Trasfigurazione.
Oggi, dunque, l’esodo, cioè il cammino di liberazione che siamo chiamati a compiere, è quello della contemplazione. Grazie alla contemplazione la preghiera diventa sguardo e il nostro cuore, che è il “centro” della nostra anima, si apre alla luce dell’amore di Cristo.
In questo modo possiamo comprendere quale è  il cammino che ci indica la liturgia di questa domenica: quello di un pellegrino che compie l’esodo che lo conduce alla Terra promessa: la Vita eterna con Cristo.
Un cammino impregnato di nostalgia, costellato di precarietà e debolezza, ma colmo di speranza, quella di coloro che hanno il cuore ferito dall’amato, e colmo di luce perché “la ‘luminosità’, che caratterizza evento straordinario della trasfigurazione, ne simboleggia lo scopo: illuminare le menti e i cuori dei discepoli affinché possano comprendere chiaramente chi sia il loro Maestro. È uno sprazzo di luce che si apre improvviso sul mistero di Gesù e illumina tutta la sua persona e tutta la sua vicenda” (Papa Francesco).
E’ vero che seguire il Signore è essere con Lui crocifissi. E’ vero che ad ogni passo le ferite del dolore ci trapassano il cuore. E’ vero il male, è vero il peccato, è vera la morte. Ma è vera anche la Trasfigurazione di tutto, è vera la bellezza che supera e dà senso ad ogni cosa: “Nella passione di Cristo l’esperienza del bello riceve una nuova profondità, un nuovo realismo. Colui che è la “Bellezza in sé” si è lasciato percuotere sul volto, coprire di sputi, incoronare di spine Ma proprio in quel volto sfigurato appare l’autentica, estrema Bellezza dell’Amore che ama “sino alla fine”, mostrandosi così più forte di ogni menzogna e violenza.
Un esempio di come cogliere questa bellezza trasfigurata ci viene dalla vergini consacrate. In modo speciale queste donne testimoniano tre aspetti specifici del cristiano.
Il primo è quello donarsi in completo abbandono a Cristo perché si fidano amorosamente del suo Amore, “che non esita a svestirsi della bellezza esteriore, per annunciare in questo modo la Verità della Bellezza” (Joseph Ratzinger).  Con la verginità consacrata queste donne annunciano proprio la bellezza crocifissa, la bellezza trasfigurata, la sua bellezza che è la nostra vera bellezza.
Il secondo è quello di testimoniare, nella propria esistenza verginalmente vissuta, la necessità di discendere dal Monte per tornare alla missione evangelizzatrice del Signore, missione che passa per la Croce e proclama la Resurrezione che altro non è se non la Trasfigurazione resa eterna nell’Umanità del Signore.
Il terzo è quello di mostrare che l’ascolto è la dimensione principale del discepolo di Cristo. Il Vangelo di oggi riporta: “ Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!” (Mc 9,7).
In un mondo che ha l’abitudine di dire tante parole (sarebbe meglio dire chiacchere), queste donne si mettono in costante ascolto della Parola e, sull’esempio della Vergine Maria, diventano “vergini dell’ascolto e madri della Parola”.
A tutti il Padre chiede di essere ascoltatori della Parola, le cui parole sono parole di vita perché, attraverso la Croce, purificano da ogni opera morta e uniscono a Dio ed ai fratelli.
Questa Parola ha bisogno di un luogo (il nostro cuore), ha bisogno di scendere in fondo, e, lì, morire, come un seme, per mettere radice, per crescere e germogliare, e resistere dinnanzi alle bufere e alle intemperie, come una casa costruita sulla Roccia.
Questa parola per essere ascoltata, oltre che di attenzione, ha bisogno di silenzio. E’ necessario il silenzio interiore ed esteriore perché tale parola possa essere udita. E questo è un punto particolarmente difficile per noi nel nostro tempo. Infatti, la nostra è un’epoca in cui non si favorisce il raccoglimento; anzi a volte si ha l’impressione che ci sia paura a staccarsi, anche per un istante, dal fiume di parole e di immagini che segnano e riempiono le giornate.
La vita riservata delle vergini consacrate mostra come sia importante educarci al valore del silenzio perché si accoglie la Parola di Dio nella vita personale ed ecclesiale, valorizzando il raccoglimento e la calma interiore. Senza silenzio non si sente, non si ascolta, non si riceve la Parola e quello che essa dice. Vale sempre l’osservazione di sant’Agostino: Verbo crescente, verba deficiunt – “Quando il Verbo di Dio cresce, le parole dell’uomo vengono meno” (cfr Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo 120,2: PL38,677)

Lettura patristica
San Leone Magno (390 circa –  461)
Sermo 38, 4-8
Per gli apostoli, che invero avevano bisogno di essere rafforzati nella fede e di essere iniziati alla conoscenza di ogni cosa, da quel miracolo scaturisce un altro insegnamento. In effetti, Mosè ed Elia, ossia la Legge e i Profeti, apparvero intrattenendosi con il Signore: ciò affinché si compisse perfettamente, attraverso la presenza di cinque persone, quanto è scritto: “Ogni parola è certa, se pronunciata in presenza di due o tre testimoni” (Dt 19,15; Mt 18,16). Per proclamarla, la duplice tromba dell’Antico e del Nuovo Testamento risuona in pieno accordo e tutto ciò che serviva a darle testimonianza nei tempi antichi si ricongiunge con l’insegnamento del Vangelo! Le pagine dell’una e dell’altra Alleanza, infatti, si confermano vicendevolmente, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo dei misteri, lo sfolgorio della sua gloria presente lo mostra manifesto e certo: si è che – come afferma san Giovanni -: “La legge fu data da Mosè, ma la grazia e la verità ci sono venute da Gesù Cristo” (Jn 1,17), nel quale si sono compiuti tanto le promesse delle figure profetiche, tanto il significato dei precetti della Legge; infatti, con la sua presenza, egli insegna la verità della profezia, e, con la sua grazia, rende possibile la pratica dei comandamenti.
Animato dalla rivelazione dei misteri e preso dal disprezzo e dal disgusto delle terrene cose, l’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio di quelle eterne, e, ripieno del gaudio di tutta quella visione, desiderava abitare con Gesù là dove la di lui gloria si era manifestata, costituendo la sua gioia. Ecco perché disse: “Signore, è bello per noi stare qui; se vuoi, facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a tale suggerimento, certo non per mostrare che quel desiderio era cattivo, bensì per significare che era fuori posto, non potendo il mondo essere salvato senza la morte di Cristo; così, l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a capire che, senza alcun dubbio nei confronti della felicità promessa, dobbiamo nondimeno, in mezzo alle prove di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, infatti, precedere il tempo della sofferenza.
Ed ecco che, mentre ancora parlava, una nube luminosa li avvolse e una voce dalla nube diceva: “Questi è il mio Figlio diletto in cui mi sono compiaciuto, ascoltatelo” (Mt 17,5). Il Padre, senza alcun dubbio era presente nel Figlio e, in quella luce che il Signore aveva misuratamente mostrato ai discepoli, l’essenza di colui che genera non era separata dall’Unigenito generato, ma, per evidenziare la proprietà di ciascuna persona, la voce uscita dalla nube annunciò il Padre alle orecchie, così come lo splendore diffuso dal corpo rivelò il Figlio agli occhi. All’udire la voce, i discepoli caddero bocconi, molto spaventati, tremando non solo davanti alla maestà del Padre, ma anche davanti a quella del Figlio: per un moto di più profonda intelligenza, infatti, essi compresero che unica era la Divinità di entrambi, e poiché non vi era esitazione nella fede non vi fu discrezione nel timore. Quella divina testimonianza fu dunque ampia e molteplice e il potere delle parole fece capire più del suono della voce. Infatti, quando il Padre dice: “Questi è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo“, non si doveva forse intendere chiaramente: “Questi è il mio Figlio“, per il quale essere da me e essere con me è una realtà che sfugge al tempo? Infatti, né Colui che genera è anteriore al Generato, né il Generato è posteriore a Colui che lo genera. “Questi è il mio Figlio“, che da me non separa la divinità, non divide la potenza, non distingue l’eternità. Questi è il mio Figlio, non adottivo, ma proprio; non creato d’altronde, ma da me generato; non di natura diversa e reso a me simile, ma della mia stessa essenza e nato uguale a me. “Questi è il mio Figlio per mezzo del quale tutto è stato fatto e senza il quale nulla è stato fatto” (Jn 1,3), il quale, tutto ciò che io faccio egli del pari lo compie (Jn 5,19) e quanto io opero, egli opera con me senza differenza. Nel Padre infatti è il Figlio e nel Figlio il Padre (Jn 10,38), e la nostra unità mai si separa. E quantunque io che genero sia altro da colui che ho generato, non vi è tuttavia permesso avere a suo riguardo opinione diversa da quella che vi è possibile avere di me. “Questi è il mio Figlio“, che non considerò bottino di rapina l’uguaglianza che ha con me (Ph 2,6), né se ne appropriò usurpandola; ma, pur restando nella condizione della sua gloria, egli, per portare a termine il disegno di restaurazione del genere umano, umiliò fino alla condizione di servo l’immutabile Divinità.
Quegli, dunque, in cui ripongo tutta la mia compiacenza, e il cui insegnamento mi manifesta, la cui umiltà mi glorifica, ascoltatelo senza esitazione; egli, infatti, è verità e vita (Jn 14,6); egli è mia potenza e mia sapienza (1Co 1,24). “Ascoltatelo“, lui che i misteri della Legge hanno annunciato, che la voce dei profeti ha cantato. “Ascoltatelo“, lui che ha riscattato il mondo con il suo sangue, che ha incatenato il diavolo e gli ha rapito le spoglie (Mt 12,29), che ha lacerato il chirografo del debito (Col 2,14) e il patto della prevaricazione. “Ascoltatelo“, lui che apre la via del cielo e, con il supplizio della croce, vi prepara la scalinata per salire al Regno. Perché avete paura di essere riscattati? Perché temete di essere sciolti dalle vostre catene? Avvenga pure ciò che, come anch’io lo voglio, Cristo vuole. Buttate via il timore carnale e armatevi della costanza che la fede ispira; è indegno di voi, infatti, temere nella Passione del Salvatore ciò che per suo aiuto, non temerete nella vostra morte.
Queste cose, o carissimi, non furono dette soltanto per utilità di coloro che le intesero con le proprie orecchie; bensì, nella persona dei tre apostoli, è tutta la Chiesa che apprende ciò che essi videro con i loro occhi e percepirono con le loro orecchie. Si rafforzi dunque la fede di tutti secondo la predicazione del santo Vangelo, e nessuno arrossisca della croce di Cristo, per la quale il mondo è stato riscattato. Di conseguenza, nessuno abbia paura di soffrire per la giustizia (1P 3,14), né dubiti di ricevere la ricompensa promessa, poiché è attraverso la fatica che si accede al riposo, e alla vita attraverso la morte. Egli, infatti, si è presa in carico tutta la debolezza propria alla nostra bassezza; egli, nel quale, se rimaniamo (Jn 15,9) nella di lui confessione e nel suo amore, siamo vincitori di ciò che egli ha vinto e riceveremo ciò che egli ha promesso.
Si tratti allora di praticare i comandamenti o si tratti di sopportare le avversità della vita, la voce del Padre che si è fatta udire deve sempre risuonare alle nostre orecchie: “Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto, ascoltatelo; lui che vive e regna con il Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.