venerdì 29 agosto 2014

La vita dei "curas villeros"


«È la prima volta che vengo in Italia. Sono contento di poter testimoniare la mia esperienza quotidiana, fatta di tante piccole attività a sostegno dei malati delle villas. Un'esperienza possibile grazie alla vita comunitaria che noi preti facciamo per scelta dell'allora cardinal Bergoglio...».

Carlos Olivero detto padre Charly, è un prete che gira ancora per i quartieri di Buenos Aires con una jeep militare nera. Bergoglio, quando la vedeva, gli chiedeva sempre sorridendo se fosse scappato dalla guerra del Vietnam. Charly ha presentato ieri al Meeting di Rimini il libro di Silvina Premat, “Preti dalla fine del mondo” (Editrice Missionaria Italiana, pp. 320, euro 18,50), uscito in Argentina nel 2012 e ora tradotto in Italia. Il volume racconta le storie dei sacerdoti che lavorano nelle «villas miserias» ed è «fondamentale», scrive don Luigi Ciotti nella prefazione, «se si vuole capire il "retroterra" di Papa Francesco».

Le villas miserias sono un fenomeno che ha un secolo di vita: baraccopoli inserite nel tessuto urbano di Buenos Aires e di altre grandi città argentine, costruite spesso su discariche abusive o accanto a corsi d'acqua contaminati. Oggi sono soprattutto abitate da immigrati paraguayani e boliviani, oltre che da argentini immigrati dalle zone rurali.

La storia dei preti che si prendono cura di questa gente ha inizio negli anni del Concilio. Con una peculiarità. I curas villeros avevano fatto la loro scelta di vita con l'intenzione di cambiare la situazione in questi quartieri poveri. Ma hanno finito per essere cambiati innanzitutto loro stessi, scoprendo la ricchezza della devozione popolare, la profondità della fede del popolo: la gente non chiedeva che fossero dei sindacalisti o degli agitatori politici, voleva dei preti nel vero senso della parola.

I curas hanno così cominciato a costruire delle cappelle - Santa María Madre del Pueblo a Bajo Flores, Cristo Obrero a Villa de Retiro, Cristo Libertador a Villa 30 - dove celebrare battesimi, matrimoni e funerali, recitare rosari, organizzare processioni. E al tempo stesso hanno continuato a lavorare per migliorare le condizioni di vita dei loro fedeli, dovendo far fronte anche a un nuovo mostro, il «paco», la droga a basso prezzo ottenuta dal residuo chimico della lavorazione della cocaina che ha effetti devastanti sul cervello e rovina la vita di ragazzi e giovani.

Padre Charly, che prima di farsi prete voleva intraprendere la carriera medica, si occupa soprattutto di loro. Sono sortì così gli Hogar de Cristo, centri di recupero per i tossici nelle villas. All’inaugurazione del primo di questi centri, il cardinale Bergoglio ha celebrato la messa del Giovedì santo lavando i piedi a dodici di loro. «Ci disse - ricorda oggi padre Charly - che la vita la si accoglie così come viene. Quella frase ha segnato il mio cammino. Vuol dire che per accogliere le persone non si devono anteporre filtri morali, né sociali, né di nessun tipo».

Il più noto dei curas villeros, padre Pepe Di Paola, che per qualche anno è stato costretto a lasciare le villas dopo aver subito minacce alla sua vita da parte dei narcos, ha detto: «Nelle nostre borgate ci chiamano padri e sentiamo che questo titolo ci onora. Siamo padri di una famiglia e questa famiglia è il nostro quartiere. E da padri ci preoccupiamo e ci diamo da fare affinché le nostre famiglie, che sono i nostri quartieri, stiano bene; affinché un bambino o un adolescente possa chiamarci padre non soltanto perché ci vede con il collarino da prete, ma perché ci preoccupiamo di lui, del fatto che cresca in maniera sana».