venerdì 29 agosto 2014

Due monaci tra le rovine della guerra



Il 30 agosto di sessant’anni fa moriva il cardinale Ildefonso Schuster.

(Mariano Dell’Omo) Il 15 febbraio 1944, or sono settant’anni, il monastero di Montecassino fu bombardato, e in pochi minuti la sua lunga storia sembrò spezzata per sempre. A quegli stessi giorni e agli anni futuri appartiene una serie di lettere conservate nell’Archivio di Montecassino, che il cardinale benedettino Ildefonso Schuster indirizzò agli abati e alla comunità cassinese, testimoniando la sua amicizia e il suo affetto verso i confratelli di quel luogo a lui così caro sin dalla giovinezza.
Da Milano, due giorni dopo la distruzione, il 17 febbraio, scriveva all’abate Gregorio Diamare: «Il nostro dolore è così intenso per quanto il Signore ha permesso circa il vostro venerando Cenobio Cassinese, che non ci regge l’animo ad offrire a voi parole di fraterna consolazione. In questi giorni, insieme col Patriarca s. Benedetto piangiamo l’eversione bellica di quel santuario che consideravamo siccome la nostra gloria, la nostra comune casa paterna, il luogo più caro e più santo a tutti i figli del Santo Legislatore. Pur troppo, per i peccati del popolo suo quel luogo se ne giace in gran parte sinistrato, e là donde giorno e notte le monastiche salmodie picchiavano supplichevoli alle porte del cielo, ora invece dal cielo infuocato sono discese a centinaia le bombe dirompenti a picchiare il santuario di Monte Cassino. Il dolore nostro, l’onta, l’umiliazione sono così grandi, che non possiamo che ripetere col Salmista: Iustus es, Domine, et rectum iudicium tuum. Ci conforta tuttavia la speranza. Quando sotto Zotone il cenobio Cassinese venne assalito e diroccato la prima volta, l’esodo dei monaci a Roma decise le sorti del monachismo occidentale. Senza quel loro stabilirsi in Laterano e senza la passione che ne provò subito Gregorio, la Regola Cassinese non sarebbe forse divenuta mai la Regula Monasteriorum che il Pontificato Romano diede a tutto l’Occidente! Così sarà ancora questa volta. Noi viviamo ancora in abscondito tempestatis, né possiamo discernere dove vadano a finire le vie di Dio. Fidiamoci però di Lui, certi come siamo che: iustum deduxit Dominus per viam rectam». 
Il 6 settembre 1945 moriva l’abate Diamare, che pur anziano e tra le desolazioni dei mesi immediatamente successivi al tragico evento, si era prodigato per una rapida ricostruzione del monastero. Ed ecco che il 21 novembre 1945 Papa Pio XII nominava Ildefonso Rea nuovo successore di san Benedetto, trasferendolo dalla Santissima Trinità di Cava, dov’era stato abate a partire dal 1929, a Montecassino, il suo monastero di professione. Da quel momento il cardinale di Milano, in corrispondenza con Rea già dal 1929 e per la comune militanza benedettina e per affinità elettive, accompagnerà il nuovo abate e la sua provata comunità fin quasi al giorno della sua morte il 30 agosto 1954, di cui quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario. 
Un mirabile dialogo tra due monaci per molti versi dal destino simile e dal temperamento affine, ritrovatisi improvvisamente entrambi tra le rovine della guerra e le sfide della ricostruzione, di cui sembrano ben consapevoli, come appare da una lettera di Schuster datata a Milano il 21 gennaio 1946: «Carissimo P. Abbate,vota damus reddimusque vicissim, e siano accompagnati dalle nostre reciproche preghiere, perché il grave peso imposto alle nostre spalle venga sopportato, anzi portato dalla grazia divina».
Ancor prima che la nomina dell’abate Rea fosse ufficializzata, Schuster così si rivolgeva a lui il 29 ottobre 1945, con espressioni — le parole originali sono in latino — di memorabile paternità e trepida amicizia: «Se la madre tua abbattuta dai nemici ha bisogno del tuo aiuto non temere di assumere l’incarico che ti è stato affidato. Confidando nell’aiuto di Dio, obbedisci. Sii consapevole tuttavia di quanto sia difficile l’impresa che devi affrontare: la ricostruzione della casa di Dio nelle cose spirituali e negli edifici materiali. Dio ti protegga sempre, venerabile padre». 
Il giorno dopo l’abate Rea, guardando indietro nel tempo a due grandi abati ricostruttori di Montecassino rispettivamente nei secoli VIII e x, gli confida con gratitudine: «Mi sgomentano il pensiero del santo abate Petronace, del venerabile Aligerno! Eminenza, ella è stato con me sempre buono e paterno: mi aiuti in quest’ora con la sua preghiera, mi accompagni nella mia opera con la sua benedizione».
Finalmente l’8 dicembre 1945 il nuovo abate prende possesso dell’abbazia iniziando il suo ministero tra le macerie, e in quello stesso giorno l’arcivescovo di Milano gli assicura così la sua vicinanza: «Carissimo Padre Abbate, questa mia Le dica l’affetto che mi lega a Lei ed alla Comunità cassinese, e con quanto amore e dolore insieme vengo a presentarle i miei auguri natalizi. Il ven. Placido Riccardi mi ripeteva spesso: Fidatevi di Dio! Dico il medesimo a tutti loro. Dio saprà ben ricostruire al momento opportuno le rovine di Gerusalemme. Tutto sta che noi ci troviamo preparati ed idonei ad aiutarlo».
Un decisivo impulso alla ricostruzione di Montecassino scaturiva dalla Commissione nominata dal ministero dei Lavori Pubblici, le cui conclusioni il 16 gennaio 1946 orientavano ormai verso l’applicazione del criterio di riedificare il monastero «com’era e dov’era». 
Trascorsi alcuni anni, finalmente il 1° aprile 1949 la direzione generale del ministero dei Lavori Pubblici comunicava all’abate Rea, nel frattempo venuto in contatto con l’ingegnere Giuseppe Breccia Fratadocchi, di aver accolto la domanda di concessione dell’esecuzione dei lavori sulla base del suo progetto, il cui primo obiettivo era il compimento della facciata della basilica in travertino, disegnata nelle sue classiche e sobrie linee dallo stesso Breccia. Cominciava così un sodalizio tra l’abate e il progettista che solo la morte di quest’ultimo avrebbe interrotto nel 1955, e fu appunto in quegli anni che da Milano il cardinale Schuster seguì con grande interesse i lavori cassinesi, appassionandosi di volta in volta di fronte alle notizie delle scoperte archeologiche che avvenivano nel corso dei lavori di ricostruzione, in particolare salutando con speciale soddisfazione la ricognizione del sepolcro dei santi Benedetto e Scolastica, grazie al ritrovamento delle sacre ossa sotto l’altare maggiore della basilica cassinese avvenuto il 1° agosto 1950. Il 31 ottobre di quell’anno il cardinale visitò di nuovo l’amato Montecassino, pregando a lungo presso le reliquie dei due santi e rimanendo vivamente impressionato dinanzi ai loculi scoperti della tomba, per quanto era emerso dagli scavi.
Ma altri rinvenimenti a Montecassino coinvolsero il cardinale di Milano, risvegliando in lui di volta in volta lo storico, il liturgista e soprattutto il cultore delle memorie dei loca sanctorum. Particolarmente significativa, sull’area corrispondente al primitivo tempio di Apollo (III-ii sec. prima dell’era cristiana) trasformato da san Benedetto in oratorio dedicato a san Martino, fu la scoperta nel 1953 di tracce della stessa chiesa intitolata al santo vescovo di Tours, riedificata negli anni dell’abate Desiderio (1058-1087) sul sito originario già utilizzato da Benedetto. 
Il valore simbolico della scoperta di San Martino era tale che l’abate Rea sentì il bisogno di darne così notizia al cardinale il 12 luglio 1953: «Le invio una foto (è la prima che è stata fatta) nella quale appare il monastero cassinese completamente ricostruito nel suo lato meridionale. Spero tra non molto poter inviare anche quella del lato orientale: siamo quasi alla copertura, ma occorreranno ancora un paio di mesi per le rifiniture. Gli scavi fatti nel chiostro di ingresso (detto della porta) hanno rimesso in luce le fondazioni dell’oratorio di San Martino, proprio nel luogo indicato dal Gattola, quasi al centro del chiostro, orientato verso est; l’abside doveva essere dove nel rifacimento cinquecentesco sono sorte le fabbriche della cantina, refettorio e cucina. Il ritrovamento è avvenuto alla vigilia della festa del Patrocinio. Le ricerche continuano: don Angelo le darà più particolareggiata relazione».
Il cardinale Schuster da Milano il 21 luglio successivo rispose offrendo all’abate Rea due consigli, uno dei quali particolarmente prezioso, quello cioè di rendere visibile il tracciato delle fondamenta di San Martino così com’erano emerse dagli scavi, mediante una lista di blocchetti di pietra, che effettivamente ancora oggi facilita l’immediata visione dello spazio un tempo occupato dalla navata centrale e dalle due navate laterali della chiesa desideriana: «Carissimo Padre Abbate, grazie della sua venerata lettera e della notizia che conteneva. Ho a sottoporle due proposte: sistemando il lastrico del chiostro dove hanno identificato i resti perimetrali del tempio desideriano di S. Martino, non si potrebbe delineare nel pavimento il tracciato a mezzo di mattonelle marmoree? Non si potrebbe circondare quello spazio dove s. Benedetto visse, pregò e spirò, in modo che nessuno lo calpesti coi piedi? Siccome quell’enorme cippo crucigero del vi secolo che stava altra volta in quei paraggi rappresenta un fulcro di altare dei tempi di s. Benedetto, e quindi dell’oratorio di S. Martino, non si potrebbe collocare innanzi all’abside centrale del medesimo, restituendolo in certo modo alla sua funzione originaria? Perché poi non erigere in quel luogo un’artistica stele marmorea, che indichi i fasti sacri del sacello? Montecassino nuovo ha estremo bisogno di sopravalutare l’antico». 
Non senza una cortese postilla Schuster conclude: «Mi perdoni se colla falce entro nella messe altrui. Preghi per me, e mi saluti i fratelli. Suo affezionatissimo + Ildefonso cardinale arcivescovo». 
In realtà la prima proposta non solo si realizzerà per una coincidenza con quanto già si progettava a Montecassino, ma avrà anche un suo ulteriore arricchimento nel gruppo bronzeo di Attilio Selva con la scena così solenne e misurata della morte di san Benedetto sostenuto da due discepoli realizzato in quel 1953, dono del cancelliere tedesco Konrad Adenauer, gruppo che di fatto isola e salvaguarda lo spazio del chiostro cui allude lo Schuster; ma anche la seconda proposta avrà un esito positivo, seppure diverso da quello suggerito, grazie al fatto che sulla parete corrispondente alla zona absidale dell’oratorio di San Martino don Francesco Vignanelli nel 1967 realizzerà il mosaico con il Cristo, la Vergine e San Martino, mentre non poté trovare collocazione in tale spazio, come pure auspicava il cardinale, l’«enorme cippo crucigero del vi secolo» attualmente visibile sullo scalone delle lapidi, uno squadrato blocco di pietra di origine pagana, sulla cui fronte al posto dell’originaria dedica fu scolpita, probabilmente nel secolo vi, quindi vivente san Benedetto, una croce analoga a quelle che si osservano su contemporanee lapidi romane o ravennati.
Esplicita e chiarificatrice è in tal senso la lettera dell’abate Rea indirizzata al cardinale Schuster il 31 agosto 1953, una preziosa testimonianza di come la ricostruzione non fu solo un puro ripristino dell’assetto originario, ma il frutto di un’interazione intelligente fra quanto apparteneva al passato e quanto la distruzione delle passate memorie aveva fatto emergere, come appunto i “resti perimetrali” del San Martino desideriano, corrispondente a quello stesso fatto consacrare da san Benedetto, e di cui, dopo il terremoto del 1349, si erano perdute le tracce: «In questi prossimi giorni dovrà giungere da Roma il gruppo della morte di s. Benedetto che lo scultore Selva ha eseguito per l’abside dell’oratorio attuale di S. Martino. Peccato che sia troppo grande per essere sistemato nel S. Martino antico. Nel nuovo S. Martino è già tutto pronto per sistemarlo». 
Il chiostro d’ingresso avrebbe poi ospitato fino a oggi il gruppo bronzeo di cui l’abate Rea saluta l’arrivo nella lettera qui riportata. È interessante pure riferire il lapidario inizio del biglietto di risposta del cardinale Schuster datato a Milano il 4 settembre 1953: prima di proporre qualche altro suggerimento per il ripristino della torre di san Benedetto, si compiace delle notizie comunicategli dall’abate: «Molto bene, e così Monte Cassino esprimerà lucrum amoris, quod fuit damnum operis». Quando il 24 ottobre 1964 Papa Paolo VI, consacrò la nuova basilica di Montecassino, come avevano già fatto i suoi predecessori Zaccaria, Alessandro ii e Benedetto XIII, sigillava con l’autorità delle chiavi di Pietro l’immane lavoro della ricostruzione, già benedetto e seguito passo dopo passo dal cardinale Schuster, che pure aveva desiderato compiere quel sacro rito della dedica, egli che per un misterioso disegno aveva preceduto sulla cattedra di sant’Ambrogio colui che lo avrebbe infine celebrato, proclamando nel contempo san Benedetto patrono principale dell’Europa.

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Nota. 
Milano ricorda il sessantesimo anniversario della morte del beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, che è stato arcivescovo della diocesi dal 1929 al 1954. Nella serata di venerdì 29, in duomo, il vicario generale monsignor Mario Delpini presiede una messa e la successiva preghiera presso l’altare dove sono conservate le spoglie del beato.  Domenica 31 agosto, sempre nel duomo, l’arcivescovo cardinale Angelo Scola celebrerà una messa nella quale ricorderà Schuster insieme al cardinale Carlo Maria Martini (nel secondo anniversario della morte).
Commemorazione di taglio storico, invece, nell’abbazia di Santa Maria di Farfa dove il 30 agosto si svolgerà un simposio dedicato a vari aspetti della figura di Schuster. Interverranno, tra gli altri, l’abate Luigi Crippa e il monaco Massimo Lapponi. Il convegno sarà concluso da una messa presieduta dal cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi.
L'Osservatore Romano